Di seguito il testo della mia relazione alla ”Commissione speciale per la razionalizzazione delle Province e delle loro funzioni nella Regione Friuli Venezia Giulia”.
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RELAZIONE
La riforma del sistema Regione-Autonomie locali è una questione cui bisogna dare concretezza e priorità assoluta.
Riordinare l’assetto degli enti locali nella nostra regione è una necessità ineludibile.
Su questo argomento specifico c’è stata l’iniziativa del Consiglio regionale con l’approvazione dell’ordine del giorno che ha costituito la Commissione speciale con l’audizione estesa dei soggetti portatori d’interesse.
Il Gruppo del Pd ha sempre sostenuto che la costituzione della commissione da parte del Consiglio regionale segna in maniera inequivocabile il fallimento della giunta Tondo rispetto alle politiche delle riforma.
Tondo ha annunciato più volte la volontà di produrre la riforma generale del sistema Regione-Autonomie locali e, a tal scopo, aveva indicato un assessore esterno il professor Garlatti; inoltre impegni precisi nella legge istitutiva delle Unioni montane, piuttosto che in altri provvedimenti, fissavano, entro il 30 giugno di quest’anno, il termine per la presentazione di un disegno di legge da parte della giunta sulla riforma delle autonomie locali.
Il tutto non è avvenuto, anzi sono sopravvenute nel frattempo le dimissioni dell’assessore Garlatti e le evidenti differenziazioni all’interno della maggioranza.
Chiariamo subito un punto: non dobbiamo fare le riforme solamente spinti dalla necessità di risparmiare, ma perché la nostra casa comune non risponde più ai bisogni dei tempi mutati, né a quelli delle famiglie, né a quelli delle imprese. Si deve intervenire con riforme profonde, costruendo un sistema che si fondi su due pilastri fondamentali: la Regione e il Comune.
Questo riordino lo intendiamo come il primo passo di una riforma più ampia e complessiva.
Alla Regione spetta programmare, pianificare, legiferare, controllare. In sintesi, assicurare ai cittadini i loro diritti. In questo ambito ci sono servizi che hanno ad oggetto diritti fondamentali, che la regione ha il compito di garantire con parità di trattamento a tutti i cittadini, quali salute, ambiente, mobilità, istruzione e lavoro.
In termini di pianificazione e programmazione ci serve una regione che abbia una visione strategica e che quindi sappia dialogare con l’Europa, con le regioni contermini e con lo Stato, pianificando e programmando in settori strategici come quello ad esempio delle infrastrutture energetiche, su cui ancora non abbiamo un piano regionale. Non ci nascondiamo che questo processo richiederà tempo, ma ci impegniamo a lavorare iniziando da subito. Non si possono impostare riforme al termine della legislatura per farle partire addirittura nel 2014 (sanità e cultura) perché questo significa ingannare i cittadini.
La crisi economica impone profonde e radicali trasformazioni del nostro sistema istituzionale: e noi lo renderemo più efficiente, economico e capace di rispondere alla domanda di servizi da parte dei cittadini e del tessuto economico regionale.
Nel quadro che andiamo delineando, l’istituzione Provincia appare superabile. Le sue competenze di area vasta possono andare alla Regione e alle aggregazioni dei comuni, mentre quelle gestionali vanno direttamente trasferite ai comuni. A differenza di quanto prospettato dal Governo nazionale, non crediamo che per il Friuli Venezia Giulia l’opzione migliore sia quella di una ‘razionalizzazione’, cioè di una riduzione del numero delle province magari a due grandi province, trattandosi di una scelta antistorica che divide e che pone problemi anche sociali e culturali. Né crediamo che la questione vada posta nei termini, ingannevoli, del “o tutte o nessuna”.
Anche in attesa di quelle che saranno a novembre le prime determinazioni della Corte Costituzionale crediamo che si debba da subito delineare un percorso per la riforma della struttura istituzionale del Friuli Venezia Giulia. Dobbiamo smontare il radicato pregiudizio che lo Statuto speciale serva a mantenere privilegi. Sappiamo bene che se la riforma degli organi di governo della provincia supererà il vaglio della Corte, allora sarà importante cogliere questa opportunità per codificarne l’ordinamento anche in Friuli Venezia Giulia esercitando appieno la specialità pur salvaguardando la scadenza naturale delle assemblee elettive. Per quanto riguarda la provincia di Udine ricordiamo che l’amministrazione regionale di centro destra con la legge n. 3 del 2012 ha ribadito il sistema dell’elezione diretta e che la suddetta legge è stata impugnata dal Governo italiano. E’ infatti secondo noi necessario che la regione si faccia attiva promotrice, confrontandosi con lo Stato, di un definitivo superamento di questo ente intermedio.
Il modo in cui il centrodestra regionale ha affrontato e gestito il nodo della riforma ordinamentale, in cui si inserisce la questione delle province, non è stato all’altezza del problema. Anzi, ha aperto una discussione al più sterile in quanto per diversi interventi ci ha riportato indietro nel tempo e al di fuori delle esigenze reali della società.
Facendo poi coincidere l’identità dei territori solo con i confini delle province, si sono generati equivoci e contrapposizioni astratte. Al contrario, le varie identità che convivono nella nostra Regione hanno la possibilità di essere valorizzate non se si rinchiudono nei recinti, ma se si confrontano liberamente tra di loro e con il mondo. Il superamento della provincia come istituzione non farà perdere ai territori la loro identità, che si rafforzerà attraverso le aggregazioni di comuni.
Nel pensare ad una regione che faccia fruttare le sue differenze, investa sulle sue comunità e sulla collaborazione tra i territori, non intendiamo frammentare o indebolire la rappresentanza delle comunità come quella autoctona slovena, né delle altre componenti.
I comuni sono il pilastro della nostra storia e della nostra identità. Sono la prima istituzione con cui si rapportano i cittadini: sono il luogo primo dell’autogoverno. I comuni rivestono una centralità sia come riferimento istituzionale sia per le rappresentanze democraticamente elette che essi esprimono: i sindaci e i consigli comunali.
Naturalmente, per estensione e numero di abitanti non tutti i comuni sono uguali.
Bisogna ipotizzare aggregazioni e fusioni, e va comunque pensata una differenziazione per le piccole e piccolissime comunità rispetto a quelle più grandi. I piccoli comuni possono non avere la necessità di una giunta comunale, e le stesse competenze devono essere diversificate, così come peculiari sono le necessità e problemi dei municipi più grandi.
E’ necessario promuovere con forza le forme di aggregazione tra i comuni e, di conseguenza, rimodellare su questo nuovo assetto istituzionale anche il sistema dei trasferimenti finanziari. Questo non significa affatto annullare storie e identità ma farle vivere in contenitori istituzionali più adatti ai tempi e ai bisogni. Molte di queste aggregazioni sono già definite o facilmente definibili. Il sistema di unioni di comuni che andiamo delineando, non costituisce un’ulteriore sovrastruttura burocratica e istituzionale, quanto invece consente la programmazione coordinata dei territori e del loro sviluppo. A mio avviso, e proponendo al confronto il processo di aggregazione dei comuni, è necessario un profondo coinvolgimento degli amministratori locali. Per quanto ci riguarda, partiamo già arricchiti da un’elaborazione teorica che risale a più di venti anni fa, quando si è manifestata l’esigenza di razionalizzare territori e servizi; nonché dalla legge 1 del 2006 che aveva provato ad avviare un processo. Il fatto che non si sia concretizzato, né utilizzate elaborazioni e esperienze, conferma il ritardo accumulato e l’urgenza di far partire le riforme. Non solo non si è fatto nulla, ma si sta immaginando, nell’ambito della pianificazione urbanistica una nuova organizzazione territoriale in assenza di una precisa idea di sviluppo della regione e della sua articolazione istituzionale. Non comprendiamo perciò l’accelerazione che la Giunta ha voluto dare all’adozione del PGT (Piano di Governo del Territorio).
E’ nostro punto di orgoglio quello di tornare a essere quel modello di regione efficiente che a lungo e in tanti settori siamo stati per il resto d’Italia.
Occorre, in primo luogo superare l’intermediazione istituzionale, eliminare cioè il superfluo e liberare così la società da un cumulo di enti, consorzi, società controllate, partecipazioni in organismi.
Questo grande riordino non ha bisogno di proclami, ma richiede una forte volontà politica, priva di lacci e libera da condizionamenti, svincolata dai rapporti di forza interni alla maggioranza e ai singoli partiti. Al tempo stesso richiede il coinvolgimento e la collaborazione partecipe di tutti i livelli del personale della pubblica amministrazione, che deve far proprio l’orgoglio di essere parte di un processo di riforma volto al bene di tutta la comunità regionale, valorizzando le competenze che esistono. Il comparto unico, pur con i suoi limiti, è uno strumento che ci permette di immaginare una diversa articolazione del territorio. Su questi temi deve basarsi una proposta organica di riordino, semplificazione ed eliminazione di ciò che non serve.
Franco Iacop