Vita Cattolica – 16 luglio 2015. Di Francesco Dal Mas
Riforma elettorale e applicazione in Friuli Venezia Giulia. L’appello del Presidente del Consiglio
No guerra fra minoranze
Franco Iacop, a capo dell’assemblea regionale, assicura che i confini dei collegi verranno rivisti. E sollecita di dare contenuti ad Assemblee dei Comuni
L’ITALICUM, ossia la riforma elettorale, così come verrà applicata in Friuli-Venezia Giulia massacra la minoranza/maggioranza friulana, per salvaguardare invece quella slovena? Franco Iacop, presidente del Consiglio regionale, non è assolutamente d’accordo. «Ha evidentemente la memoria corta chi dimentica come, a suo tempo, il collegio elettorale per i rappresentanti alla Camera arrivasse fino a Belluno».
Quindi è ineccepibile la suddivisione attuale del territorio?
«Non lo è. E, infatti, i nostri rappresentanti a Roma stanno cercando le opportune modifiche. Ma senza ribaltare l’impostazione. Non dimentichiamoci che fino all’altro giorno non volevamo le liste bloccate. È maturata questa riforma che ha tanti aspetti positivi, alcuni da limare, attraverso opportuni approfondimenti. Ma i friulani non parlino di lesa identità. E, soprattutto, giù le mani ad una possibile guerra fra le minoranze. Il collegio senatoriale sloveno era già una garanzia acquisita».
Lei ritiene che le incongruenze territoriali – chiamiamole così - possano essere davvero superate?
«Sicuramente. La suddivisione è stata tracciata con evidente semplicismo. Ci sono riflessioni in corso sulla montagna, ad esempio, sulla Bassa friulana. Una soluzione migliore sarà senz’altro trovata».
Quindi scampato pericolo, a suo dire, per l’unità del Friuli. E le Assemblee dei Comuni di lingua friulana che si stanno costituendo, con la riapertura del Parlamento dopo 210 anni, sono soltanto un surrogato delle Province? C’è chi ritiene che non saranno affatto in grado di garantire ne l’unità ne l’identità del Friuli.
«Questo è Fontanini. Ma il presidente della Provincia di Udine deve smetterla di far credere che tutto il Friuli possa ritrovarsi alle dipendenze di una sola provincia, magari quella di Udine. Non avverrà mai. Anche perché c’è chi parla il friulano, come a Cinto Caomaggiore, in Veneto, meglio che in qualche paese dell’Udinese e che, però, non gradirebbe un unico punto di riferimento m Udine. Posso capire, perfino giustificare, la battaglia ingaggiata dall’amico Fontanini a difesa della Provincia, ma l’interesse dei friulani passa altrove».
Dove passa? Per le comunità friulanofone?
«Ormai si. La comunità di lingua friulana, riconosciutasi come tale, non è stata imposta dall’alto, nasce dal basso, attorno ai sindaci. Quindi ha una potenzialità enorme di partecipazione. E la volontà popolare che così si è espressa sarà in grado anche di riempire di contenuti questo contenitore».
Ammetterà, però, che oggi questo contenitore è vuoto.
«Abbiamo appena detto che si tratta di una realtà maturata dal basso. La Regione ha dato un indirizzo: quella della coesione territoriale, insieme culturale ed economica. Coesione è un’espressione importante, che davvero si può caricare di contenuti significativi, finalizzati non solo a salvaguardare l’identità, ma a promuoverla. E, si badi, assemblea per assemblea, secondo, quindi, le specificità e le sensibilità dei territori. E evidente, ad esempio, che quanto si deciderà di fare nell’Assemblea con dentro Monfalcone sarà diverso da quello che si metterà in campo sulle terre alte».
L’Assemblea, dunque, non è un castello di carta?
«Chi lo dice ha un preconcetto».
Facciamo il punto sull’aggiornamento dello Statuto regionale. Quanto è reale il rischio che la Riforma Morassut, quella per le macroregioni, prenda il sopravvento sul delicato dibattito in corso?
«La riforma Morassut non è in discussione ne alla Camera ne al Senato».
E non lo sarà neanche in futuro?
«Non credo. Certo, dobbiamo difendere la specialità con i denti. In questo periodo si sta discutendo, appunto, la riforma costituzionale con particolare riguardo alla tematica del regionalismo e le sorprese sono sempre da mettere in conto. Ma fino ad oggi abbiamo saputo difendere molto bene l’autonomia della nostra Regione, quindi la sua identità».
Autonomia che resisterà, ma in che forma? Sarà un surrogato rispetto alle prerogative di oggi?
«Ma quale surrogato? Sarà un’autonomia vera. Certo, dobbiamo codificare relazioni nuove tra Regione e Stato, con competenze nuove, o di rinnovata modulazione, e con i relativi finanziamenti».