Messaggero Veneto – 9 febbraio 2015. Di Domenico Pecile
Porzus 70 anni dopo
Il ricordo della strage con l’incubo dell’oblio
La commemorazione a Canebola tra appelli perché nessuno deve dimenticare. Serracchiani: monito per farci sentire comunità. De Gregori: liberi grazie a loro
C’è una domanda che ieri è rimbalzata prima a Faedis e poi a Canebola alla cerimonia che ha ricordato i settant’anni dell’eccidio di Porzus. Una domanda che si pone a metà tra il desiderio che la verità storica, più volte manipolata, s’imponga e la necessità di fare in modo che la strage degli osovani non diventi uno dei tanti appuntamenti istituzionali cui partecipano le stesse persone per ascoltare ogni anno le stesse cose. Il sindaco di Faedis ha ammonito che non sarà permesso a nessuno che la commemorazione diventi una semplice ricorrenza annuale». Diversamente, la deriva potrebbe essere rappresentata dal dimenticatoio, se non addirittura dalla rimozione storica. E forse non è un caso che proprio ieri la consigliera comunale di Attimis, Adriana Modolo, abbia affermato che non condivide queste manifestazioni «perché tengono vivi solo i rancori e le contrapposizioni» e diventano soltanto l’occasione per «una passerella di personaggi regionali, provinciali, forze dell’ordine», mentre «i cittadini del posto erano mosche bianche. E questo vorrà pur dire qualcosa».
Due obiezioni, quelle del sindaco di Faedis e quella della Modolo, cui indirettamente ha risposto soprattutto Tazio De Gregori, nipote del comandante “Bolla” trucidato alle malghe. «Ma i partigiani di Porzus non sono morti invano: il contraccolpo storico e politico di quei fatti è stato certamente enorme, è stato alzato il sipario una volta ancora sulla ferocia del totalitarismo, sull’odiosità di ogni ideologia che intenda prevaricare la libertà di pensiero. Quindi gli Osovani di Porzus e Bosco Romagno – ha detto De Gregori – morendo hanno vinto la loro battaglia, perché anche grazie al loro sacrificio l’Italia è da settant’anni un Paese democratico, pur con i suoi gravissimi problemi, e da settant’anni non subisce l’orrore della guerra».
E proprio per questo, la presidente della Regione, Debora Serracchiani, farà eco a margine della cerimonia con queste parole: «I settant’anni trascorsi dal giorno dell’eccidio siano occasione per capire più a fondo e con più sincerità le ferite e i drammi che sono all’origine della nostra Repubblica. Il pensiero memore e rispettoso verso questo episodio fratricida, aiuti oggi a rafforzare nei cittadini italiani il sentimento di appartenenza a un’unica comunità». Vero è allora, come ha sottolineato anche l’arcivescovo di Udine monsignor Andrea Bruno Mazzoccato, che quella ferita ci spinge a riflessioni attuali. Da qui la sua esortazione a una preghiera perché simili prove ci siano risparmiate per sempre e perché l’unica arma per la soluzione dei conflitti sia il dialogo. Preghiamo per quei giovani mossi da un forte anelito di liberazione dai regimi totalitari che opprimevano le nostre terre e da ideologie che minacciavano il Friuli – poteri che non rispettavano la libertà di pensiero e la dignità dell’uomo – e preghiamo oggi per un’Europa segnata ancora da scontri armati».
E a proposito di Europa, anzi, di nuova Europa il presidente del consiglio regionale Franco Iacop, ha sottolineato che «essere qui a rappresentare l’Assemblea legislativa della nostra Regione, significa avere la consapevolezza civile di aver riletto e analizzato un capitolo del passato in una stagione storica che ci vede con Slovenia e Croazia parte di un’Europa senza confini. Da un grande ideale dobbiamo avere la forza di trovare ogni giorno le ragioni per costruire nuove speranze e prospettive alle giovani generazioni e al nostro Friuli».
Ma Porzus, ha poi aggiunto il presidente della Provincia, Pietro Fontanini, è stato molto di più di una tragedia fratricida perché proprio «a Porzus iniziò la tragedia che portò agli esuli, alle foibe, ma anche alle servitù militari in Friuli che si ritrovò terra di frontiera tra due mondi: quello del libero mercato e quello della pianificazione economica». Non solo, ma «questa contrapposizione tra i due mondi – ha aggiunto - ha privato la nostra terra del dovuto sviluppo economico». [...]