(ACON) Trieste, 27 feb – MPB – Il Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale, che cade il 10 febbraio, è stato commemorato in Consiglio regionale con gli interventi del presidente Franco Iacop e del prof. Davide Rossi (nella foto di copertina), docente di storia e tecnica delle codificazioni e costituzioni europee presso l’Università di Trieste e membro dell’Esecutivo nazionale dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia (A.N.V.G.D).
Presenti in Aula rappresentanti del mondo associazionistico e accademico.
“L’approvazione, il 30 marzo del 1992, della legge 92 – ha esordito Iacop – fu il punto di arrivo della consapevolezza civile sulla necessità di fare luce sugli aspetti, anche controversi, della storia d’Italia.
“Per celebrare questa giornata nella pienezza dei suoi significati dobbiamo riconoscere che per troppi decenni l’orribile capitolo delle foibe e dell’esodo da Istria, Fiume e Dalmazia è stato nascosto al nostro Paese.
“Il Giorno del Ricordo, pertanto, corrisponde all’esigenza di un riconoscimento umano e istituzionale per troppo tempo mancato.
“La memoria che coltiviamo è anche quella delle sofferenze inflitte alla Comunità slovena e croata negli anni del fascismo, ma non possiamo dimenticare le sofferenze, talvolta fino alla morte, inflitte a italiani immuni da ogni colpa.
E’ importante rileggere un capitolo del passato comune e condividere lo sforzo di analizzarlo e interpretarlo proprio nel decennio in cui le Repubbliche di Slovenia e Croazia sono divenute parte di un’Europa nella quale nessuna identità può essere sacrificata.
E’ del tutto evidente il significato che nella legge istitutiva sia stata sottolineata l’importanza di rinnovare la memoria della tragedia delle vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati e della più complessa vicenda del confine orientale d’Italia, per fare del Giorno del ricordo un’occasione per convertire la memoria di un’immensa tragedia in una riflessione su quanto le cose siano cambiate e come gli sviluppi maturati lascino sperare in un futuro migliore, improntato ai valori della pace, della cooperazione e dell’accoglienza, privo di violenze e ingiustizie.
“E’ doveroso ricordare ciò che è accaduto, senza stancarci di condannare con tutto lo sdegno possibile i crimini efferati e gli orrori della guerra, delle persecuzioni, delle stragi e della pulizia etnica, consapevoli che da allora a mutare non è stato solo il confine orientale, con i suoi vasti intrecci in termini di contatti e scambi fra popoli e differenti culture, valori e aspirazioni, ma tutta l’Europa, la sua storia, l’attualità e ancor di più le prospettive del mondo intero. Non significa ridurre la portata di una pagina tragica, bensì fare una riflessione, con la serenità e l’oggettività che può dare il tempo trascorso.
“La sfida dei nostri tempi si gioca sulla nostra capacità di investire nel futuro di noi stessi e dei nostri figli, non immemori di ciò che è accaduto, e protesi a realizzare un mondo diverso, dove l’odio sia sostituito dal dialogo e dalla voglia di camminare insieme, dettata non già da ragioni sentimentali, ma nel comune interesse di contribuire a scrivere una nuova pagina di terre e popoli che per secoli hanno dialogato e collaborato tra loro. “Non possiamo dimenticare che i 350.000 esuli hanno vissuto un duplice dramma: quello di essere stati costretti ad abbandonare la propria casa e quello, avvenuto subito dopo, di essere stati accolti con indifferenza da quella stessa Italia nel cui abbraccio solidale avevano sperato. Queste cose non possono essere dimenticate, né possono essere giustificate.
“Noi oggi ricordiamo le vittime delle foibe, l’esodo giuliano-dalmata e le vicende del confine orientale anche per dovere nei confronti dei superstiti, dei famigliari delle vittime, delle Associazioni che coltivano la memoria di quelle tragedie. La storia degli ultimi 70 anni ha posto le premesse per ricucire le lacerazioni proprio nell’avanzare del processo di integrazione europea, anche nel quadrante orientale e in questo contesto la nostra Regione può svolgere un ruolo importante ed avere una funzione determinante.
“La Slovenia e la Croazia sono entrate a fare parte dell’Unione europea e questo ha avuto un peso nel superamento delle barriere ideologiche all’interno di un contesto, quello dell’Unione, che è per sua natura fondato sul rispetto delle diversità e sullo spirito di convivenza e reciproco scambio fra etnie, culture e lingue diverse.
“Capire l’importanza del nuovo scenario davanti a noi è un primo passo necessario per costruire un futuro dove la violenza, la discriminazione e l’odio siano solo un doloroso ricordo. Significa uscire dallo stato di paralisi e di angoscia per concentrarci nella scrittura di nuove pagine di storia, dove non si parla più di violenza, odio e vendetta, ma di pace, di crescita, di sviluppo, di cooperazione, con riferimento al comune cammino di popoli e di persone fra loro diversi, ma che si riconoscono nella comune appartenenza europea che fa più ricche le identità nazionali”.
CR: Giorno del Ricordo, relazione Davide Rossi
(ACON) Trieste, 27 feb – RCM – Dopo il presidente Iacop, a celebrare nell’Aula del Consiglio regionale il 70esimo anniversario della stipula del Trattato di Parigi e il Giorno del Ricordo è stato Davide Rossi, avvocato e professore di Storia e Tecnica delle codificazioni e costituzioni europee presso l’Università di Trieste, ma soprattutto nipote di esuli istriani, membro dell’Esecutivo nazionale dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd) e componente del Consiglio di amministrazione del Centro di documentazione multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata di Trieste.
“Personalmente – ha così sottolineato Rossi -, parlare di questi argomenti significa dare voce e vivo ricordo alla mia famiglia, ai miei nonni che quelle terre dovettero abbandonare per aver salva l’esistenza e che mi hanno insegnato a crescere nel rispetto delle proprie tradizioni, lingua e costumi, che sono costituiti soprattutto dai luoghi, dai profumi e dai colori di terre che non hanno più potuto vedere e che io, decenni dopo, ho rivisto per loro, in contesti totalmente differenti”.
Poco o nulla, per Rossi, gli Italiani sanno delle vicende dell’Alto Adriatico nel Novecento: “Abbiamo dovuto attendere la caduta del Muro di Berlino e la sapienza di uno storico di matrice marxista – purtroppo recentemente scomparso – come Claudio Pavone per poter aprire un dibattito scientifico sull’argomento”.
Per il professore, le associazioni che hanno portato avanti il testimone di quegli anni “nel tempo hanno cercato anche di aprirsi, trovando fortunatamente nuovi interlocutori in giovani che si avvicinano a questa Storia semplicemente perché curiosi, seppur non toccati direttamente da queste vicende, in cui anche i discendenti di coloro che rimasero nelle proprie case in Istria, Fiume e Dalmazia, quali ne fossero le ragioni, hanno il diritto di essere tutelati dalla Madrepatria nella loro identità di italiani e giudicati per quello che potranno dimostrare di fare, non per quello che fecero i loro avi.
“Un Giorno del Ricordo, importante e necessario, ma che ancora non è sufficiente a sanare le ferite di tanti italiani che si sono sentiti traditi, che hanno lasciato le loro terre proprio per rimanere italiani, optando per rimanere quello che erano.
“Italiani definiti fascisti semplicemente perché lasciavano luoghi in cui il socialismo reale trasformava in pubblico ciò che prima era privato, dissacrava le chiese, costringeva a parlare lingue diverse, senza valutare le effettive motivazioni di questo esodo che riguardava quasi 350.000 persone”.
Rossi ha poi fatto presente che esattamente 70 anni fa l’Assemblea Costituente lavorava a un testo che sarebbe diventato uno dei punti di riferimento del costituzionalismo europeo, e non solo, del secondo Novecento. Pochi, però, ricordano che “quel fatidico 2 giugno 1946 – data in cui gli italiani furono chiamati a scegliere tra mantenere l’assetto istituzionale monarchico oppure abbracciare la Repubblica, oltre che ad eleggere i rappresentanti per la Costituente – tutta la XII Circoscrizione di Trieste, della Venezia-Giulia e di Zara non poté votare, esclusa all’ultimo momento per motivi di ordine pubblico.
“Se è vero che i partiti recuperarono molti esponenti giuliani attraverso la loro candidatura in una sorta di listone nazionale, è altresì vero che mancò quel rapporto diretto tra il rappresentante e l’elettore, quell’elemento fiduciario, oltretutto in un momento così delicato, che è alla base di ogni mandato politico. E tale condizione non fece altro che aumentare quello iato tra la Storia nazionale e la Storia del confine orientale, sempre più percepita come una vicenda marginale, localistica, quasi non rientrante nel patrimonio culturale italiano, relegata all’interesse di pochi.
“Il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 – ha proseguito Rossi – avrà un acre sapore di sconfitta, in cui l’Italia dovrà subire risoluzioni poco condivise e che vedevano perdere la sovranità dei territori coloniali, di alcuni piccoli Comuni del confine occidentale, ma soprattutto dell’Istria, di Fiume, del Carso triestino e goriziano, la piccola provincia di Zara, oltre alla creazione del Territorio Libero di Trieste, sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
“Il prezzo maggiore del carattere punitivo comminato all’Italia intera fu pagato proprio dagli italiani del confine orientale che, dopo aver patito le violenze delle foibe e delle deportazioni (ottobre 1943 – maggio 1945, non a caso in concomitanza con due momenti fondamentali quali la data dell’Armistizio dell’8 settembre 1943 e quella della Liberazione del 25 aprile 1945), quindi con l’esilio, infine con la beffa dei beni nazionalizzati e utilizzati dallo Stato italiano per pagare il debito di guerra con Belgrado, con le promesse di un equo indennizzo la cui attesa dura tutt’ora, lasciando aperta una ferita mai rimarginata.
“La Storia d’Istria, Fiume e Dalmazia è storia secolare, di pietre che parlano italiano, di Leoni che ricordano Venezia, di un Adriatico ponte tra Ravenna e Zara, tanto che è Dante stesso a fissare – nel IX canto dell’Inferno – i confini italiani a ‘Pola, presso del Carnaro, ch’Italia chiude e suoi termini bagna’. “Oggi, a settant’anni di distanza, si chiede rispetto da parte delle istituzioni, adempimento degli accordi presi, consapevolezza di non essere nuovamente dimenticati. Laicamente – ha chiosato Rossi -, senza bandiere, per evitare un silenzio generale che avrebbe il gusto di un’ennesima sconfitta. Il Giorno del Ricordo è il momento in cui l’italianità giuliano-dalmata chiede di ricordare le proprie vittime e un momento di raccoglimento per commemorare le violenze che ha subito: negare, giustificare e ridimensionare quanto patito costituisce una nuova forma di violenza”.
Foto Montenero